Il Museo Archeologico di Spilamberto
L’intensa fase erosiva che ha contraddistinto negli ultimi decenni il fiume Panaro ha portato alla luce, nei territori di Spilamberto e San Cesario, importanti testimonianze di numerosi siti preistorici e tracce d’età storica.
In più riprese, al calare di ogni piena, si sono effettuati recuperi su paleosuperfici in via di totale erosione, mentre sondaggi e scavi sistematici hanno interessato alcuni siti neolitici, la necropoli eneolitica e due pozzi da acqua di epoca romana.
La mostra archeologica presenta tre episodi principali d’insediamento: il primo riferibile ad un aspetto piuttosto antico della Cultura dei vasi a bocca quadrata; il secondo che documenta la successione di più momenti della Cultura di Chassey – Lagozza; un terzo con la relativa necropoli ascrivibile al Gruppo di Spilamberto.
Completano la mostra i materiali provenienti dallo scavo di due pozzi da acqua di età romana, uno dei quali parzialmente rimontato nei locali espositivi ed il cui lungo uso si è concluso con il loro definitivo abbandono fra la fine del VI e gli inizi del VII sec. d.C.
Prime tracce di presenza umana
Nel territorio di Spilamberto la presenza dell’uomo è nota a partire dal momento di transizione tra Paleolitico inferiore e Paleolitico medio (circa 120000 anni fa), quando il margine collinare pedeappenninico era percorso dalle ultime comunità di cacciatori che hanno lasciato tracce dei loro bivacchi e dei manufatti in pietra scheggiata da loro utilizzati. La materia prima (ftanite, selce, diaspro rosso e calcare) sembrerebbe reperibile localmente nei depositi alluvionali.
Dei gruppi di cacciatori e raccoglitori del Mesolitico, cioè del momento di adattamento di queste piccole comunità ai cambiamenti climatici e ambientali che hanno seguito la fine dell’ultima era glaciale, il territorio di Spilamberto ha restituito al momento solamente piccoli bivacchi, riconoscibili grazie alle caratteristiche dei manufatti in pietra ritrovati e databili al Castelnoviano (7100 – 5500 a.C.).
Neolitico (VI millennio – metà IV millennio a.C.)
In questo periodo si assiste alla comparsa dei primi esempi di economia basata sulla produzione diretta del cibo. Queste piccole comunità si sono trovate probabilmente a convivere con gli ultimi gruppi di cacciatori-raccoglitori, anche se non è possibile ricostruire gli effettivi rapporti che avevano tra loro.
Nel territorio di Spilamberto, i primi momenti di questo periodo (Cava Ponte del Rio: Facies della Pianaccia e Cultura di Fiorano, 5500 – 4800 a.C.) sono rappresentati da ritrovamenti piuttosto limitati, che diventano invece molto più consistenti con l’affermazione della Cultura dei Vasi a Bocca Quadrata (Sito I del Panaro: 5100 – 4300 a.C.), di Chassey e di aspetti di tradizione occidentale (Sito III e Sito VIII del Panaro: 4300 – 4000 a.C.). Si tratta comunque sempre di insediamenti che hanno restituito i resti delle strutture in negativo (fosse, canalette, buche di palo) di varie forme e dimensioni, distribuite su ampie aree ma con concentrazioni riconoscibili che indicano la presenza di nuclei distinti.
Con la diffusione dell’agricoltura nell’occidente mediterraneo, si è resa necessaria la produzione di recipienti duraturi per conservare le provviste di cibo. Diventa così comune l’utilizzo della ceramica per realizzare ciotole e scodelle ma anche vasi di più grandi dimensioni dove immagazzinare le risorse prodotte. Tale produzione si affianca a quelle già in uso nei momenti precedenti della storia dell’uomo, come pietra o materiali organici.
Eneolitico (metà IV millennio – XX secolo a.C)
Le attestazioni databili all’inizio dell’età del Rame (Sito VIII del Panaro: Facies di S. Ilario, 4000-3500 a.C.) sono molto rare e ancora fortemente legate ad aspetti neolitici. Con il pieno Eneolitico l’area a ridosso del fiume Panaro ritorna ad essere fittamente occupata da abitati e aree sepolcrali, di importanza tale che in tutto il territorio circostante i ritrovamenti archeologici di questo momento della preistoria sono indicati come Gruppo di Spilamberto (Sito X del Panaro: 3500-2500 a.C.). Si può attribuire a questo aspetto la necropoli individuata al confine tra San Cesario e Spilamberto, composta da 39 sepolture a inumazione in fossa semplice, molte delle quali contraddistinte dalla presenza di oggetti di corredo come vasi, punte di frecce, lame di pugnali e alabarde in pietra scheggiata o in rame.
Dalle zone abitate, caratterizzate ancora dalla presenza di buche e canalette scavate nel terreno, provengono strumenti realizzati in pietra scheggiata, in rame e in ceramica con la caratteristica decorazione “a squame”.
Sono scarse, infine, le testimonianze databili al momento finale dell’Eneolitico (Sito XII del Panaro: Vaso Campaniforme 2500 – 2000 a.C.), con aspetti che in altre zone sono attribuibili già all’inizio dell’età del Bronzo.
Età del Bronzo (XXIII – XII secolo a.C.)
Si tratta del periodo a cavallo tra preistoria e storia che ha portato a grandi modificazioni nelle caratteristiche degli abitati, dell’organizzazione sociale e produttiva e dei rituali praticati dai gruppi umani che hanno occupato l’ara della pianura Padana.
Benché il territorio di Spilamberto-San Cesario abbia restituito tracce di un insediamento databile a momenti avanzati del Bronzo Antico (Alto Casina: XXIII – XVII secolo a.C.), è a partire dal Bronzo Medio (XVII – XIV secolo a.C.) che i rinvenimenti, collocabili all’interno dell’esteso fenomeno terramaricolo, si fanno più numerosi. Tale fenomeno è caratterizzato da un numero elevatissimo di villaggi, spesso molto ravvicinati tra loro, difesi da argine e fossato e con un’economia fortemente basata sulla produzione agricola e sugli scambi commerciali. Questa estesa occupazione ha portato a una grande modificazione del territorio, rappresentando la prima capillare colonizzazione della pianura Padana.
Nel territorio di Spilamberto sono due le terramare indagate da scavi archeologici: la prima rinvenuta nell’800 e sondata nuovamente negli anni ’80 del secolo scorso a Podere Castelletto e la seconda scavata di recente in zona Cave di Ponte del Rio. In entrambi i casi sono stati portati alla luce numerosi reperti che descrivono in maniera dettagliata le attività domestiche e artigianali che si svolgevano all’interno di questi villaggi.
Età del Ferro (VIII – III secolo a.C.)
Per la prima età del ferro le testimonianze sono esigue, probabilmente a causa dell’attrazione sul popolamento esercitata dal vicino centro strategico di Savignano sul Panaro, ma sono comunque piuttosto significative nel quadro della frequentazione di epoca villanoviana gravitante sull’asse del Panaro. Per la fase successiva, tra VI e V secolo a.C., i rinvenimenti delineano un assetto territoriale costituito da piccoli nuclei insediativi, collegati alla frequentazione della valle del torrente Guerro, ad ovest del Panaro, tramite una rete di vie di percorrenza trasversali, marcate dalla presenza di piccole aree di culto.
I recenti scavi di Cava Ponte del Rio hanno inoltre evidenziato la presenza di pozzi per l’acqua e la frequentazione dell’area perifluviale anche in questa fase e fino al IV – III secolo a.C. A questo periodo, caratterizzato dalla calata in regione delle tribù celtiche che si insediarono anche nel Modenese, sono infatti ascrivibili due sepolture di guerriero.
Età romana
Con la deduzione della colonia di Mutina nel 183 a.C. viene dato avvio ad una occupazione capillare del territorio di Spilamberto. Ancora oggi è possibile osservare le tracce di due diversi orientamenti della centuriazione, cioè la suddivisione del territorio agricolo basato su una maglia di assi stradali paralleli, a disegnare appezzamenti di terreno perfettamente regolari: uno orientale che segue l’orientamento di Bononia e uno occidentale che invece segue quello di Mutina.
Sono numerosi i ritrovamenti riferibili ad insediamenti rurali e ad aree produttive e di servizio, spesso contraddistinti da una lunga continuità di utilizzo, dall’età repubblicana al periodo tardoantico. Sono molte anche le aree funerarie scavate, anche in questo caso attribuibili a periodi differenti.
Di particolare importanza il rinvenimento di numerosi pozzi d’acqua in tutto il territorio di Spilamberto, utilizzati per un lasso di tempo piuttosto lungo. In alcuni casi la presenza di materiali preziosi all’interno del riempimento sembrerebbe indicarne l’utilizzo come pozzi-deposito a carattere cultuale legati a divinità ctonie e femminili. L’ambiente umido interno a queste particolari strutture ha permesso in alcuni casi la conservazione di materiale organico che altrimenti sarebbe andato perduto, come oggetti in legno o semi e frutti che riportano informazioni importanti riguardo l’ambiente vegetazionale e la dieta in questo periodo storico.
Medioevo
Con la caduta dell’Impero Romano il territorio di Spilamberto continua ad essere occupato, come testimoniato dalla ricca necropoli longobarda (VI-VII secolo d.C.) scavata all’interno delle Cave di Ponte del Rio, un area ricchissima di ritrovamenti archeologici che vanno dalla preistoria all’età medievale e moderna. Si tratta di una quarantina di sepolture in fossa, con gli individui deposti con il loro abito completo e i ricchi accessori in metallo che ne contraddistinguevano il ruolo all’interno della società. Di rilievo anche il ritrovamento di tre sepolture di cavalli, tutte prive di cranio e associate a tombe femminili, forse parte di un rituale in cui condividevano la sorte delle proprie padrone anche nella morte.
Dalla fine dell’Alto Medioevo e nei secoli successivi, queste zone appaiono fortemente divise tra l’influenza del vescovo di Modena e quella della vicina abbazia benedettina di Nonantola. Da questa dipendeva il complesso dell’Ospitale e della chiesa di S. Bartolomeo. Si tratta di un insieme di strutture, databili a partire dal XII secolo, a cui era affiancato un cimitero. Qui furono rinvenute due sepolture riferibili a individui che hanno percorso il pellegrinaggio a Santiago di Compostela, contraddistinti dalla presenza nella tomba della cosiddetta “conchiglia del pellegrino”, cioè gusci di Pecten (capesante) forate per essere cucite all’abito o al cappello.
Poco lontano dall’Ospitale il Comune di Modena innalza nel 1210 il centro fortificato di Spilamberto. Viene così costruita la Rocca, con la funzione di controllare il confine bolognese e il corso del fiume Panaro, che sarà poi concessa alla famiglia Rangoni a metà del XIV secolo. In tutto il territorio comunale, oltre agli edifici relativi a questo momento storico, sono state rinvenute numerose fosse di scarico, soprattutto ceramica e scarti di fornace, databili prevalentemente tra XIV e XVIII secolo.